Immobile, come una cariatide, trattengo il fiato e serro le dita, ormai intorpidite dal gelo, sul manico del coltello. I cani abbaiano a poca distanza dal mio nascondiglio, chiudo gli occhi un istante e prego che la scia del mio profumo sia svanita, dissolta nel vento salmastro che ulula attorno a me.
Non ce l’ho fatta.
Il mio cuore ha iniziato a battere furiosamente contro il mio candido petto; una lacrima è sfuggita al controllo, disincagliandosi dalle lunghe ciglia scure, scivolando lentamente, docilmente, lungo le gote arrossate. Il richiamo alla vita, l’istinto di sopravvivenza sono stati più forte del dolce desiderio di arrendermi e naufragare nelle acque pervinca di fronte a me. La furia dei miei cacciatori mi ha travolto come un pugno allo stomaco: non ho avuto più scelta, se non perpetuare la fuga. Mi sono riscossa quel tanto per orientarmi.
Ho ricordato…
Ho rammentato come un tempo, innocente bambina, correvo a perdifiato lungo i sentieri incantati di questo bosco; raccoglievo erbe e funghi insieme a una donna gentile e sorridente; giocavo coi leprotti e le farfalle. Immaginavo di diventare una principessa, come nelle favole che ascoltavo rapita nelle lunghe notti d’inverno, davanti al camino acceso e le castagne scoppiettanti sul fuoco. Ho udito una melodiosa voce intonare una ninnananna, mentre tenere carezze scioglievano i nodi tra i miei lunghi capelli arricciati.
Così i miei piedi, feriti e scalzi, hanno incominciato a muovere passi tra le foglie umide e i ramoscelli spezzati. Persa tra le immagini sfocate della mia mente, non ho badato a nient’altro. Chi era quella donna? Chi mi ha cullato in fasce?
Ho affrettato l’andatura, incurante del dolore, poiché un latrato in lontananza mi ha destato dai miei sogni. Non posso soffermarmi ora sul mio passato: il presente incombe minaccioso su di me.
Sono qui, in una grotta buia e fredda, umida e gocciolante. Immobile.
Elenoire mi aveva avvertita, ma non le ho dato retta. Che stupida sono stata! Mi chiedo se ne sia valsa la pena. Non ho cibo né acqua, non ho erbe né medicamenti, non ho coperte né unguenti. Sono sola, nel cuore del bosco, braccata e condannata. Dove andrò? Nessuno mi vorrà aiutare, nessuno oserà sfidare l’ira di Lord Blacktree. Nemmeno le fanciulle mi sosterranno, le ho private di quei piccoli privilegi e di quelle essenziali comodità. Spero non verranno punite anche loro a causa della mia avventatezza.
Elenoire… Desideravo mi seguisse, ma la comprendo. Ha già subito una punizione. Giovani e belle. Giovani e desiderabili. Da uomini spietati e senza scrupoli. E’ la bellezza la causa della nostra sventura? O semplicemente la nostra natura di donne? Non è più soddisfacente ammirare una fanciulla, delinearne le forme, scolpirne i lineamenti, rimirarne le movenze, bearsi delle piccole imperfezioni del viso, piuttosto che possederla e bistrattarla, ferirla e umiliarla, scuoterla e strattonarla? Io non capisco, non capisco l’istinto dell’uomo di dominare anziché rispettare. Una donna è capace di donare il proprio cuore, aprire la propria anima e offrire il proprio corpo, completamente, incondizionatamente, a quell’uomo che le dimostra Amore. Forse è un’utopia, forse in questo mondo i lupi sono travestiti da agnelli e nessuno è davvero ciò che professa di essere. Allora che farmene della bellezza? Perché dovrei deturparla o cancellarla dal mio corpo e dal mio animo? Potrei tagliarmi i capelli, rompermi le unghie, vestirmi di stracci e mascherare il volto, ma la mia essenza non subirebbe alcuna trasformazione, la mia voce non verrebbe alterata. E’ la bellezza che l’uomo arde dallo schiaffeggiare o sono io che le mani trepidano di colpire? Senza conoscere il mio passato, sono sprovvista di indizi. Sarò ugualmente punita perché è scritto nel mio destino. Le linee della mia mano non mentono. Ho paura. Tuttavia sono pronta. Pronta a lottare o perire nel tentativo. E’ vero, le acque richiamavano la mia vita e stavo per cedere al loro canto, sirene ammalianti.
Lo scalpiccio degli zoccoli si avvicina sempre più al mio nascondiglio. Un semplice coltello da cucina non basterà a proteggermi, ne sono consapevole. Un segugio fiuta i miei passi. C’è giustizia su questa terra? Le grida degli uomini si susseguono, rimbalzano tra i rami, rimbombano nell’oscurità. Sono esausta. Se è il fato a decidere, che accorci questa agonizzante attesa.
Eccolo, è qui fuori. La belva con la bava tra i denti e gli occhi gialli che riflettono nel buio della notte. Avverto l’odore del pelo arruffato e del fiato fetido, ansima a poca distanza da me. Nessuno l’ha seguito. Siamo soli quaggiù. I nostri occhi s’incrociano, si sfidano, duellano. Se balzasse in avanti mi dilanierebbe con i denti aguzzi. Conto i battiti furibondi del mio cuore, ma non distolgo lo sguardo. Chi vincerà questa battaglia? La connessione tra noi due è palpabile: tutto l’universo si è ridotto a una molecola. Riesco a scorgere il cucciolo che è stato dietro al giallo brutale delle sue iridi. Figlio della cattiveria, ora implacabile predatore sei diventato.
Non reggo più la tensione, le ginocchia cedono e rovino a terra. La belva ringhia, abbassa la testa ed è pronta ad attaccare. Fallo ora! Risparmiami altra sofferenza. Un fischio acuto risuona nel bosco, seguito da un altro e un altro ancora. La caccia per il momento è sospesa. La belva scuote le orecchie, infastidita dall’ordine di ritirata. La osservo soppesare la situazione, incerta se attaccare e gustarsi il bottino oppure raggiungere il branco. Ha imparato che disobbedire costa caro. D’un tratto persino lei si è trasformata in vittima, come me. Abbassa il muso, mi abbaia la sua frustrazione, si volta e svanisce nell’oscurità. Non aveva altra scelta. Come me.
Mi accascio a terra esattamente dove mi trovo e mi abbandono ai brividi.
Ilaria Severino
Annabelle